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Libri » Marmo in guerra

Autore: Roberto Maggiani
Poesia | n. 12
Lingua: italiano
Formato: copertina flessibile
Dimensioni: 170x240 mm
pp. 56
Anno di edizione: 2014
Edizioni La Grafica Pisana

ISBN: 9788897732181

20,00 €

In copertina: fotografia di Paolo Maggiani

In copertina: fotografia di Paolo Maggiani

Libro con fotografie di Paolo Maggiani e poesie di Roberto Maggiani tratto dall’omonima
mostra fotografica allestita a Carrara nell’ambito della rassegna Marble Weeks 2014.


Prefazione, di Alessio Giannanti (Archivi della Resistenza – Circolo Edoardo Bassignani)

Non so bene per quale motivo i Maggiani (mi piace qui nominarli al plurale, omaggiando la loro simbiosi artistica) mi abbiano chiamato in causa per la Prefazione di questo bel libro di fotografie e poesie, intitolato Marmo in guerra. Forse i motivi sono più di uno, magari investono ragioni di natura amicale e relazioni comuni (tenderei ad escludere il fatto che non proprio incidentalmente io mi occupi di letteratura) ma il principale, io almeno credo, è che l’associazione che qui rappresento, da un decennio a questa parte, si è occupata della memoria della Seconda guerra mondiale, con una particolare attenzione alle fonti non tradizionali della storia. Il nostro coinvolgimento non era tuttavia scontato perché, a ben guardare, l’esperienza di Archivi della Resistenza sembra (ma è appunto solo apparenza) andare in altra direzione: chi lavora come noi con le memorie orali, la videodocumentazione dei racconti di vita e la creazione di archivi digitali, dovrebbe prendere partito per una sostanziale “dematerializzazione” del ricordo (senza poi trascurare il fatto che nell’epoca di Internet è forte l’illusione di vivere in una specie di metafisica, parallela all’esperienza del mondo). E tuttavia abbiamo imparato presto che così non è, né può esserlo. Per spiegarmi meglio devo raccontare un breve aneddoto. Tra il 2004 e 2005 abbiamo girato un documentario sulla storia della Brigata Garibaldi “Leone Borrini” a Merizzo in Lunigiana – un’esperienza formidabile che ci ha permesso di conoscere una meravigliosa comunità, andando a intervistare testimoni e superstiti. Dopo la presentazione del DVD e la prima partecipatissima proiezione in piazza, uno dei protagonisti, il partigiano e presidente della locale sezione ANPI, Dino Borrini, ci convocò da lui. Nella nostra superbia di allora, pensavamo che ci volesse ringraziare per il lavoro svolto sulla memoria delle loro lotte e per tutti quei portenti tecnologici che avevamo messo a disposizione di una causa comune. Dino invece con il suo modo burbero (che in seguito abbiamo imparato ad apprezzare) ci disse, sbrigativo ma deciso, che sì, che eravamo stati bravi per quello che avevamo fatto, ma che lui aveva da pulire un monumento ai caduti nel bosco del Monte Barca, che era invaso dalle erbacce, che era un’indecenza da non dormirci la notte, ma che lui era troppo vecchio per andare e che se ci sbrigavamo ad andare noi, bene, altrimenti ci avrebbe messo una bomba e lo avrebbe fatto saltare per aria! Fu quella una vera e propria lezione di antropologia del contemporaneo, che ci fece capire che in fatto di memoria è la variabile soggettiva a farla sempre da padrona. Forse è inutile raccontare che, da lì a qualche giorno, sì partì con gli zaini carichi per la montagna e si andò a ripulire, e anzi a restaurare (visto che nel collettivo c’era chi lo faceva di professione) quel marmo, tanto importante per lui e i suoi compagni. Quel giorno abbiamo imparato una volta per sempre quanto siano carichi di umani sentimenti questi presidi della memoria: iscrizioni, cippi, monumenti e gli stessi luoghi poiché esiste un vasto e stratificato paesaggio memoriale, che avvolge tutti noi, anche quando non riusciamo a vederlo, o fingiamo di non accorgercene. E questi oggetti, con tutti i segni che il tempo e il caso gli cuciono addosso continuano a parlarci della storia di uomini e donne, passata e presente. Un poeta molto caro alla nostra associazione, che scriveva anche lui in prossimità della Linea Gotica, Paolo Bertolani, in una sua memorabile poesia, intitolata Sentimento della guida, immaginava di camminare tra le rovine della guerra a Punta Bianca (che con Dante chiama «la più rotta ruina») e di indicare «sul cemento delle casematte» i segni «sbiaditi ma non spenti» della battaglia, che rimangono per tutti noi «ancora squarcio/ ancora sangue vivo dentro l’impietosa/ diligente memoria».

Penso che da considerazioni analoghe, se non molto simili, sia nato questo libro, che si fonda su un programma tanto semplice in apparenza, quanto foriero di risultati inattesi e importanti. L’idea iniziale era appunto quella di rintracciare «cannoneggiamenti, bombardamenti, mitragliamenti, scontri i cui colpi di schegge e proiettili hanno lasciato la loro impronta su monumenti di commemorazione ai caduti della prima grande guerra, ma anche su fontane e pievi in marmo». Alla base di questa felice intuizione, c’è un’ammirabile curiosità da flâneur del Maggiani fotografo, Paolo, che ha saputo scorgere segni e spie tra i monumenti di Pietrasanta e Serravezza, che alla maggior parte di noi sarebbero sfuggiti. Il Maggiani poeta, Roberto, è intervenuto presumibilmente soltanto dopo con la grazia di quei jazzisti che sanno reinterpretare l’arte altrui, con una congiunzione di intenti che ha uno speciale valore artistico. Ho scritto “presumibilmente” perché ho pensato che non fosse utile chiedere loro notizie su questa genesi, e anzi volevo cullarmi con il sospetto che forse erano d’accordo da subito, anzi direi “da sempre”, con quell’intesa che solo alcuni fratelli sanno proficuamente esercitare. Sono convinto che questo connubio è servito anche a loro, per rimescolare le carte, i ruoli e le convinzioni e convincersi, se mai ce ne fosse bisogno, che fotografia e poesia non vivono vite così separate. Non a caso Roberto parla di poesie «scattate» e Paolo ha giocato d’anticipo, perché le sue sapienti inquadrature hanno saputo vedere con altri occhi ciò che ci circonda, sondare profondità inaspettate, laddove sembra vigere il quotidiano e l’ordinario, con quella felicità di esecuzione, che è poi l’unico vero segreto della Poesia. Allo stesso modo il versificare di Roberto ha riempito di immagini quelle fotografie, in una sorta di archeologia del sentimento umano ai tempi della guerra, studiando le tracce e le impronte del passato, cercando di capire le traiettorie delle vite non meno che quelle dei proiettili (come in Il proiettile: analisi del tiro). La vita non è del resto una questione di balistica? Senz’altro è stato così nel Secolo breve, per quelle generazioni che hanno visto straziate le carni dalla violenza della storia.
Queste poesie leggono i segni sui marmi, anche rivendicando una certa libertà di interpretazione, ad esempio nello scorgere un messaggio universale di pace; come nella soltanto accennata prosopopea dell’Apuano, in cui si immagina che la statua voglia lanciare la pietra sollevata per mandare un segnale di rifiuto, dicendo: «“Basta la guerra.”/ E se non è lui a farlo/ sono io nel suo corpo di pietra». Ecco quindi che il Maggiani poeta vuole decifrare questi segni con le corde del suo sentimento: come quando scorge il disegno di una farfalla nella lesione di un colpo sparato (Generale Diaz) o, davanti alle crepe di un pavimento, che sono chiari segni di un bombardamento, lui vede, o meglio vuole vedere, una costellazione, il satellite di Giove, Europa, seguendo un’immagine che esaudisce il desiderio di allontanarsi “sideralmente” dall’orrore della guerra. Per citare ancora altri esempi di questa che più che un’interpretazione è pura reinvenzione del dettato delle immagini, si veda la statua del bambino (il puttino) segnato dai colpi dei proiettili, che nella sua lotta con il mostro viene trasfigurato in un partigiano, nel simbolo stesso di quella lotta (in Analogia) o, ancora, nella raffigurazione dei due militi, in cui uno sorregge il commilitone ferito, e che nelle intenzioni originarie rappresentava la retorica del sacrificio marziale, ma qui diventa per volontà dell’autore («in loro voglio vedere») il simbolo di un amore tra uguali, con un impeto civile che lo porta a denunciare il «male razzista/ e la discriminazione», che «in questa Italia» sono «pallottole/ che continuano a colpire le storie/ e gli affetti di molti» (I soldati. La morte. Gli amanti).
Per concludere va fatto almeno un cenno alla bella serie di fotografie e di poesie dedicate ai segni di proiettile sulla scalinata della Collegiata di San Martino, un trittico in cui passano lì accanto: una colomba, simbolo fin troppo eloquente, due adolescenti distratti (in cui il poeta scorge un’inconsapevole gratitudine e li invita a vivere senza dimenticare ciò che è stato) e un anziano meditabondo e solitario, che è stato partecipe di quella storia, al punto di conoscere, forse lui solo, il significato dei segni sul marmo. Queste immagini ci dicono anche di un dialogo possibile tra le generazioni, di un passaggio del testimone e di una trasmissione di valori che è un lavoro che non ci dobbiamo mai stancare di fare e che è un’altra tra le tante possibili storie che questo libro racconta.